Il sistema pensionistico pubblico: evoluzione e riforme
Previdenza

Il sistema pensionistico pubblico: evoluzione e riforme

Il nostro sistema pensionistico pubblico si basa sul meccanismo della ripartizione, cioè i contributi dei lavoratori di oggi vengono utilizzati per pagare le attuali pensioni. Finché le entrate sono uguali alle uscite, il sistema si mantiene in equilibrio, ma quando le entrate diminuiscono, il sistema si sbilancia e bisogna cercare soluzioni per ripristinare la stabilità. Leggi l’approfondimento.

Il nostro sistema pensionistico pubblico si basa sul meccanismo della ripartizione, cioè i contributi dei lavoratori di oggi vengono utilizzati per pagare le attuali pensioni. Finché le entrate sono uguali alle uscite, il sistema si mantiene in equilibrio, ma quando le entrate diminuiscono, il sistema si sbilancia e bisogna cercare soluzioni per ripristinare la stabilità.

Negli ultimi decenni fenomeni come l’invecchiamento della popolazione, il calo delle nascite, le crisi economiche e un mercato del lavoro frammentato hanno causato uno squilibrio nel sistema pensionistico.

Le riforme che si sono susseguite negli ultimi anni sono state realizzate proprio con l’intento di riportare la situazione in equilibrio. Le strade percorse per far fronte a questi cambiamenti sono state principalmente due:

  • il progressivo innalzamento dell’età della pensione
  • il passaggio dal metodo retributivo, che calcola la pensione in base alle ultime retribuzioni percepite dal lavoratore, al metodo contributivo, che lega la pensione a quanti contributi si sono versati durante l’attività lavorativa e all’età in cui si va in pensione.

Principali riforme del sistema pensionistico

Riforma Dini del 1995

La principale novità di questo intervento è stata l’introduzione graduale del metodo contributivo, che prevede che la pensione venga calcolata in base ai contributi versati nell’arco di tutta la vita lavorativa.

In particolare:

  • a chi al 31 dicembre 1995 aveva già maturato 18 anni di lavoro si continuava ad applicare il metodo retributivo
  • a chi al 31 dicembre 1995 non aveva 18 anni di contributi si applicava il metodo misto, cioè retributivo fino alla fine del 1995 e contributivo dal 1° gennaio 1996
  • agli assunti dopo il 1° gennaio 1996 si applicava per intero il metodo contributivo

Riforma Prodi del 2007

La riforma Prodi ha introdotto il sistema delle Quote, che prevedeva il raggiungimento di determinate quote, date dalla somma tra età e anni lavorati (95 nel 2009, 96 nel 2011 e 97 nel 2013), per poter accedere alla pensione.

Riforma Monti – Fornero del 2011

La riforma, introdotta dal noto decreto “Salva Italia”, ha eliminato il sistema delle quote, esteso il metodo contributivo a tutti i lavoratori e previsto un aumento dell’età anagrafica per potere andare in pensione.

Anni di contributiMetodo di calcolo pensione (dal 2012)
  Più di 18 anni al 31 dicembre 1995  contributivo dal 1° gennaio 2012 fino al pensionamento retributivo per i periodi precedenti al 1° gennaio 2012
  Meno di 18 anni al 31 dicembre 1995  contributivo dal 1° gennaio 1996 fino al momento del pensionamento retributivo per i periodi precedenti al 1° gennaio 1996
  Nuovi lavoratori dal 1° gennaio 1996interamente contributivo

Interventi recenti

Dopo la riforma Monti-Fornero si sono avvicendati una serie di interventi sperimentali, rivolti a categorie di persone in possesso di determinati requisiti e con validità circoscritta nel tempo.

Tra queste misure vanno ricordate:

APE volontario. Anticipo Pensionistico Volontario che poteva essere richiesto dal lavoratore, a cui mancavano non più di 3 anni e 7 mesi alla pensione, che voleva lasciare il lavoro in anticipo.

L’intervento, valido da maggio 2017 a dicembre 2018, poi prorogato anche nel 2019, consisteva nella richiesta di prestito ad una banca, che erogava un assegno fino al momento del raggiungimento della pensione. Il prestito poi, raggiunta la pensione, doveva essere ripagato nel corso dei successivi 20 anni.

Quota 100. Misura sperimentale, prevista per il triennio 2019-2021, che permetteva di andare in pensione prima di raggiungere i requisiti pensionistici ai lavoratori con un’età di almeno 62 anni e un’anzianità contributiva di almeno 38 anni.

Quota 102. Misura introdotta dal governo Draghi, al posto di Quota 100 e valida solo per il 2022, che consentiva a tutti i lavoratori con almeno 64 anni di età e 38 di contributi entro la fine del 2022 di andare in pensione in anticipo rispetto ai requisiti richiesti per il pensionamento.

Quota 103. Misura introdotta per il 2023 che consente di andare in pensione con 62 anni di età e 41 anni di contributi previdenziali.

Ape sociale. Anticipo Pensionistico Sociale, introdotto nel 2017 e ancora utilizzabile, che consiste in un sussidio mensile erogato dallo Stato, che persone in particolari stato di bisogno e con specifici requisiti anagrafici e contributivi possono richiedere. 

Opzione Donna. Misura che consente ad alcune categorie di lavoratrici (caregiver, con invalidità superiore al 74% o licenziate da aziende in crisi) con 60 anni di età (59 se con un figlio, 58 se con due o più figli) e con 35 anni di contributi di poter accedere in anticipo alla pensione.

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Scritto da:Mefop

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