Dialogo con Giuseppe Schlitzer, economista, docente a Castellanza e direttore generale di Federbeton
Come sta l’Italia? Perché fatica a crescere nonostante gli sforzi e gli impegni? E come guardare al futuro superando le divisioni che ancora rimangono, come quella atavica Nord e Sud? Molte le questioni in campo alla ripresa autunnale. Per questo abbiamo deciso di inaugurare una serie di colloqui sui temi dell’economia, l’innovazione, il divario Sud-Nord parlandone con Giuseppe Schlitzer, economista, docente a Castellanza e direttore generale di Federbeton.
Professor Schlitzer, come siamo messi? Come sta l’Italia al di là della retorica e delle belle speranze?
Non bene, purtroppo. L’Italia è un soggetto con forti capacità di recupero ma ancora malato. Si è ammalato vent’anni fa e da allora non si riprende, nonostante i passi avanti realizzati sul piano delle riforme. Un caso paradossale, insomma.
Come si chiama la malattia italiana?
La definirei “ristagno della produttività”, che non è solo la produttività del lavoro ma produttività totale dei fattori. Un fenomeno forse unico nel panorama delle economie industrializzate, un vero record di cui purtroppo non c’è da andare fieri. Come dicevo si evidenzia alla metà degli anni ’90 e oggi viene considerato quasi unanimemente la principale causa della bassa crescita.
Come è accaduto?
Difficile dirlo. Nel tempo sono state offerte varie spiegazioni, che mettono in discussione scelte cruciali della politica economica e sociale perseguita dal Paese negli ultimi due decenni. In ogni caso una spiegazione unanime non esiste.
La sua ipotesi quale è?
Più che d’ipotesi credo che sia utile analizzare i punti deboli e forti dei filoni di interpretazione più in voga, che fondamentalmente sono tre: l’adozione dell’euro, le riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro e alcuni veri o presunti limiti storici del modello italiano di sviluppo.
Lei per quale filone propende?
A mio avviso, alla luce dei dati e della letteratura esistente, nessuna delle tre interpretazioni fornisce una spiegazione pienamente convincente del ventennale ristagno della produttività italiana.
Come possiamo orientarci, allora?
Credo che debbano essere presi in considerazione altri fattori, ignorati dalla letteratura scientifica e dai commentatori, nonostante abbiano contrassegnato lo sviluppo economico, sociale e istituzionale del nostro Paese contribuendo a deprimere la produttività in questi anni.
Quali sono questi fattori?
Numerosi. Il processo di consolidamento fiscale e il ruolo della domanda aggregata, realizzato aumentando le tasse e tagliando la spesa produttiva; la cosiddetta “devolution all’italiana”, con le sue conseguenze esiziali sulla funzionalità dell’apparato amministrativo. E poi senza dubbio la cattiva performance di alcuni servizi e delle costruzioni, settori il cui peso sul Pil è cresciuto nel corso degli ultimi decenni. Aggiungerei l’aumento dell’età media dell’occupazione conseguente alle riforme pensionistiche e la deindustrializzazione accelerata causata dalla recessione tuttora in atto.
E il divario Nord-Sud? Crede che sia un gap recuperabile? E come?
Il tema resta di sfondo a qualunque ragionamento, ma per fortuna oggi si contano anche numerose eccezioni, casi non isolati che sono vere e proprie best practice. Certo, per costruire un futuro per il Sud occorre una nuova alleanza, sinergie inedite tra giovani e meno giovani, che in maniera diversa e magari sorprendente collaborino. Grazie anche alle possibilità offerte dalla rete. In questa prospettiva, le start up sono un aspetto molto importante, che può allineare il Sud a livelli non solo italiani ma europei.
Internet quindi può rappresentare la leva per la produttività o ormai è un mito?
Internet è imprescindibile da qualunque progetto d’impresa, non solo al Sud ma ovunque. In generale occorre favorire la diffusione delle tecnologie digitali, che producono effetti positivi pervasivi su tutti i settori dell’economia. Ma non ci si può limitare a considerare singoli fattori di sviluppo. Ad esempio posso sviluppare l’infrastruttura digitale, come del resto è stato fatto in Italia colmando quasi del tutto il gap con gli altri paesi, ma se ho una popolazione lavorativa che invecchia i benefici sulla produttività saranno limitati. La ricerca e l’innovazione, sia di prodotto che di processo, restano fondamentali. Ma se il contesto esterno all’impresa è sfavorevole, ad esempio a causa di appesantimenti burocratici ed amministrativi, i miglioramenti di efficienza saranno vanificati. La soluzione non è semplice ma certamente serve adottare una prospettiva ampia, con politiche che favoriscano le strategie messe in campo dalle imprese per fronteggiare la nuova competizione. Non più tra Nord e Sud ma globale.
Walter Mariotti – AXA Newsroom
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