Riciclare la plastica a zero emissioni CO2
Sostenibilità

Riciclare la plastica a zero emissioni CO2

Gli attuali processi di riciclo della plastica non sono sempre efficienti e anche quelli a basse emissioni di carbonio producono comunque enormi quantità di anidride carbonica (CO2). Sono sicuramente necessarie e apprezzate soluzioni innovative in un mondo di eccessiva produzione di rifiuti plastici CO2. Leggi l’approfondimento.

Emergenza plastica a livello mondiale

Polietilene, cloruro di polivinile (PVC) e polistirene sono materiali ben noti che fanno parte della categoria delle materie plastiche, che sono diventati in voga e onnipresenti in meno di 60 anni. Per molti anni, sono stati considerati un tesoro grazie ai benefici che forniscono. Tuttavia, hanno anche dimostrato di essere un problema importante una volta usate e gettate via. A livello globale, ogni anno vengono generati circa 250 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, e solo circa il 30 per cento di questa plastica viene riciclato, la parte non riciclata finisce in discarica o negli oceani. Inoltre, la produzione e il consumo di tali materie plastiche dipendono principalmente dall’uso di grandi quantità di combustibili fossili – in particolare le materie plastiche monouso. Queste materie plastiche hanno un impatto globale sulla salute umana e ambientale, sia nelle fasi di produzione che di riciclaggio del loro ciclo di vita. 

Nell’ultimo decennio, gli scienziati hanno cercato modi per minimizzare l’impatto della plastica sul nostro pianeta, uno di loro è lo sviluppo di materiali biodegradabili. Tuttavia, la plastica completamente biodegradabile è progettata per decadere a temperature superiori a 50 ºC, il che significa che non si biodegrada in nessun altro luogo se non in strutture specializzate. Il più delle volte, si romperà in particelle di plastica sempre più piccole di 5 mm o meno – note come microplastiche – che sono ancora più dannose per l’ambiente.

Un’altra tecnica più promettente sviluppata dagli scienziati è la ri-valorizzazione dei rifiuti di plastica – vale a dire, la loro conversione in prodotti di un valore superiore. Utilizzando vari processi chimici, i ricercatori stanno sviluppando percorsi chimici per riciclare questi rifiuti; sulla base di un concetto di “riciclare, riutilizzare, ridurre”, hanno mostrato benefici reali. Da un punto di vista economico, il commercio di plastica riciclata con uno sconto del 20-40% rispetto alle plastiche a base di petrolio, lo rende finanziariamente attraente per l’industria. Più alto è il prezzo del petrolio, più attraenti diventano le plastiche riciclate.

Gli attuali processi di riciclo e upcycling (processo di trasformazione che prolunga il ciclo di vita di un prodotto/materiale inutile o indesiderato, rivalorizzandolo) non sono quindi sempre efficienti e anche quelli a basse emissioni di carbonio producono comunque enormi quantità di anidride carbonica (CO2).

Con la nuova scoperta chimica dei catalizzatori organici (Nobel per la chimica 2021), è possibile sfruttare l’anidride carbonica per trasformare i rifiuti di plastica in nuovi materiali funzionali ad alto potenziale.

Soluzioni innovative come questa sono sicuramente apprezzate e necessarie in un mondo di eccessiva produzione di rifiuti plastici e anidride carbonica. Si stima, infatti, che ogni minuto vengono gettati via un milione di rifiuti di plastica dopo un tempo medio di utilizzo di soli 15 minuti; globalmente, ogni anno vengono generati circa 250 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, di cui solo il 30% viene riciclato. A questa triste realtà si aggiunge l’allarmante produzione di anidride carbonica, che sappiamo contribuire al riscaldamento globale e al cambiamento climatico.

La plastica biodegradabile non è la soluzione

L’AXA Research Fund (leggi questo articolo per saperne di più) sostiene un nuovo progetto di ricerca in Ambiente e Ricerca sul Clima (2022-2027) che mira ad affrontare i due importanti problemi di inquinamento ambientale sopracitati (eccesso di plastica ed emissioni carbonio). La Cattedra di ricerca è tenuta dal Professor Olivier Coulembier, ricercatore Senior presso il Fonds de la recherche scientifique (FRS-FNRS) nell’ambito dei Services des Matériaux Polymères et Composites (SMPC) dell’Università di Mons in Belgio.

La domanda principale ad oggi è: perché continuiamo a produrre quantità così massicce di plastica, ben consapevoli dell’effetto dannoso che ciò ha sull’ambiente? Molto semplicemente per motivi di costo: produrre plastica da combustibili fossili non costa praticamente nulla rispetto al riciclaggio o al riutilizzo di plastica usata.

Mentre molte persone continuano a sostenere che la strada migliore da seguire sia quella delle plastiche biodegradabili, il Prof Coulembier non la pensa affatto così, anzi afferma che “la maggior parte delle persone credono che la plastica biodegradabile è come una pelle di banana che si può semplicemente buttare via – ma non è così“. Le plastiche biodegradabili richiedono condizioni molto specifiche per decomporsi, e anche se tali polimeri fossero veramente biodegradabili, la loro decomposizione porterebbe al rilascio di anidride carbonica, metano e vapore acqueo, che sono tre gas chiave coinvolti nell’effetto serra. “Questo dimostra che dobbiamo invece investire i nostri sforzi nel riciclaggio di materiali plastici non degradabili“, dice il Prof. Coulembier.

La sua ricerca, quindi, si concentra sulla famiglia di plastiche più inquinanti e più difficilmente riciclabili: “poliolefine.” Le poliolefine, come il polietilene e il polipropilene, sono prodotti sfusi dall’industria del packaging alimentare, che produce la maggior parte delle materie plastiche dopo l’industria automobilistica e delle costruzioni. Purtroppo, è particolarmente difficile riciclare queste macromolecole di plastica perché sono molto lunghe, costituite da atomi di carbonio e idrogeno.

Tecniche di smaltimento plastica poco sostenibili

Un’altra motivazione della ricerca del Prof. Coulembier è quella di affrontare le tecniche di riciclo attualmente in uso che non sono né ottimali e né sostenibili. Infatti, “tutti i metodi esistenti di trattamento e riciclaggio della plastica rilasciano quantità massicce di anidride carbonica nell’atmosfera“, ha spiegato il Prof. Coulembier.

Diversi milioni di tonnellate di plastica trattate e riciclate negli anni, o vengono incenerite per generare energia oppure vengono riciclate attraverso la pirolisi o il riciclaggio meccanico.

  • La pirolisi comporta il riscaldamento della plastica per abbattere termicamente le macromolecole e per creare molecole più piccole che possono essere recuperate e potenzialmente purificate per l’uso come combustibili sintetici.
  • Il riciclaggio meccanico, il metodo più interessante dei due, consiste nel separare la plastica per tipo, lavarla, riscaldarla, quindi riutilizzarla. Il riciclaggio meccanico è semplice ed economicamente sostenibile, ma degrada e cambia le proprietà dei polimeri rispetto al riciclaggio ripetuto e quindi non può essere implementato all’infinito. Inoltre, il riciclaggio meccanico ha sì quello che i media chiamano una “bassa impronta di carbonio”, ma rilascia enormi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. “Il riciclaggio meccanico rilascia infatti meno anidride carbonica rispetto ad altre tecniche di valorizzazione dei rifiuti, ma ha ancora una produzione del 50% di anidride carbonica“, ha spiegato il Prof. Coulembier. Ciò significa che con 2 tonnellate di plastica, il riciclaggio meccanico rilascia 1 tonnellata di anidride carbonica nell’atmosfera.

Sviluppare un metodo di riciclaggio con un’impronta di carbonio negativa

Lo scopo del programma di ricerca del Prof. Coulembier è quello di sviluppare un metodo di riciclaggio della plastica con un’impronta di carbonio bassa, nulla o addirittura negativa. Un’impronta di carbonio negativa vuol dire che viene prodotta meno anidride carbonica alla fine del ciclo rispetto alla quantità utilizzata all’inizio del processo di riciclaggio, e la strategia per raggiungere questo obiettivo è, quindi, relativamente semplice: usare l’anidride carbonica per il riciclaggio della plastica.

Durante la sua ricerca, il Prof. Coulembier adotterà dunque un approccio di ricerca graduale che si svilupperà su tre fronti, tra di essi complementari:

  1. Ricerca principale su come trasformare l’anidride carbonica in nuove molecole organiche: affinché tale metodo sia preso sul serio su scala industriale e abbia un impatto sociale reale, deve essere rapido, efficiente, economicamente valido e con condizioni di reazione semplici;
  2. Ricerca su come trattare le materie plastiche per creare nuove molecole: la speranza è quella di sviluppare un metodo di trattamento della plastica che abbia una trasformazione “più delicato” per evitare la degradazione della molecola e consentire “funzionalizzazioni a catena”.
  3. Ottimizzare la reazione tra molecole derivate da anidride carbonica e plastiche “funzionalizzate” per produrre nuovi materiali: questo processo deve avere condizioni che lo rendano sfruttabile industrialmente e con impatti sociali reali, come nel settore dei materiali da costruzione, per avere il minor impatto possibile sul clima.

Fonte

https://www.axa-research.org/en/news/upcycling-plastic-waste-by-using-excess-carbon-dioxide

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Scritto da:News_room

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