Il tema di come conciliare sul luogo di lavoro le diverse generazioni è sicuramente una delle sfide che le moderne società dovranno affrontare.
Per questo motivo abbiamo tradotto l’articolo “Winning the generation game” uscito sull’ultimo numero dell’ Economist, ritenendolo un utile spunto di riflessione.
Sempre più imprenditori si chiedono come gestire al meglio molteplici gruppi di età con necessità e aspettative differenti.
“Perché continui ad assecondarli?” questa domanda è stata posta a Mariam Salzman, capo della Havas PR, dai suoi lavoratori più anziani nei giorni in cui l’azienda lanciava la sua ultima pubblicità per la ricerca di nuovo personale. Mostrando giovani che usano sgargianti dispositivi mobile, la pubblicità metteva in evidenza la mancanza di gerarchie in azienda e come i selezionati potessero essere liberi di scegliere la loro mansione e di parlare con i propri capi una volta intrapreso il loro “personale percorso di sviluppo.”
Oggi, anche se molti giovani cominciano le loro carriere in uno dei peggiori mercati del lavoro della storia moderna, per chi ha le giuste caratteristiche, la situazione non è mai stata migliore.
I datori di lavoro si sono convinti che siamo agli inizi di un periodo di crisi e che bisogna procurarsi i migliori talenti a tutti i costi. Inoltre, nei paesi più ricchi, dato che i lavoratori anziani vanno in pensione sempre più tardi, i dirigenti hanno un maggiore range di età da amministrare.
Quindi le aziende cercano di essere più meritocratiche, con le promozioni, ma i dipendenti più anziani potrebbero essere scoraggiati da fatto che i loro anni di servizio non garantiscano più un progresso di carriera e man mano che le conoscenze digitali diventano più importanti i giovani lavoratori gli sfreccino davanti.
Srotolare il tappeto rosso davanti alla generazione Y (i nati negli anni ’80) sta alimentando ovunque nelle aziende lo stesso scontro generazionale che si verifica alla Havas PR, afferma Ms Salzman: “ I Baby-boomers sono molto risentiti dalla presenza di questi ragazzi”. E la generazione X (i nati tra il 1960 e il 1980) si è stufata di essere “ ferma e bloccata nel mezzo tra i lavoratori più anziani che si rifiutano di andare in pensione e quelli più giovani che sono trattati molto meglio di come lo sono stati loro”.
I conflitti generazionali sono vecchi quanto la storia. Tuttavia, le aziende sembrano essere più preoccupate del solito su come gestire i tre gruppi di età con così diverse attitudini.
In un recente sondaggio, Ernst & Young ha chiesto ai lavoratori americani di ogni età la loro opinione su ognuna delle tre generazioni, notando evidenti differenze. Non tutte prevedibili.
I Baby boomers, nati dal 1946 alla metà degli anni 60, non perdono colpi mentre invecchiano e sono visti come stacanovisti e molto produttivi.
La classe della generazione X, che potremmo immaginarci in aperta guerra con tutti per salire nelle gerarchie aziendale, è invece vista come la migliore per lavorare in gruppo, ottimi team-players.
Le opinioni sulla generazione più giovane, la Y, conosciuta come i “millennials”, sono meno sorprendenti: smanettoni tecnologici, aggressivi e con non troppa voglia di lavorare.
Ernst & Young ha realizzato la ricerca non solo per i suoi clienti ma il sondaggio è servito a capire anche le sfide generazionali presenti tra i loro dipendenti, spiega Karyn Twaronite, un collaboratore che curato il sondaggio.
In America i dipendenti di Ernst & Young sono giovani: 62% generazione Y, 29% generazione X e solo 9% baby boomers. Per farli lavorare ed evitare che si guardino in cagnesco attraverso le pareti divisorie, la società li sta incoraggiando a fare del lavoro volontario intra-generazionale. I millennials sembrano esserne felici, ma i loro coetanei più grandi potrebbero non gradire.
Nonostante le versioni discordanti sui millennials, molti di loro hanno goduto di rapide promozioni in ruoli manageriali. Essere “nativi digitali” li ha aiutati a superare candidati più anziani in posizioni dove saper utilizzare strumenti come i social media è d’aiuto. I datori di lavoro sono spinti a promuoverli anche per altri tre fattori; la loro richiesta di essere trattati meritocraticamente, la loro fame di responsabilità e la loro indisponibilità a rimanere dove sono se non ottengono quello che vogliono.
Inoltre, il crescente trend che vede i dipendenti gestiti da managers più giovani di loro sta facendo nascere il problema di come mantenere motivati i lavoratori più anziani. Lavorare sotto la supervisione di qualcuno più giovane, ricorda costantemente a questi lavoratori il fatto che non siano riusciti a mantenere il passo, affermano Florian Kunze delll’Università di St Gallen and Jochen Menges di dell’Università di Cambridge in un paper presentato nel recente meeting annuale dell’America’s Academy of Management. Più c’è confronto e dialogo tra generazioni sul luogo di lavoro, suggerisce l’Academy, più si riesce a eliminare la negatività di chi è stato sorpassato.
Le tre definizioni (boomers, X, Y) rappresentano correttamente i tre gruppi di età che caratterizzano oggi la demografia americana.
Ma anche le aziende delle economie emergenti ed in rapida crescita sono afflitte dai problemi generazionali, a causa delle popolazioni estremamente giovani, come l’India ad esempio. Dopo la sua rapida espansione degli ultimi anni, la Tata Consulting Service (TCS) ha oggi 240.000 dipendenti di cui più del 70% sono under 30. Ciò ha messo un enorme pressione sulle necessità di cambiamento all’interno della società, dice Ajoy Mukherejee, il capo delle risorse umane. I riscontri sulle performance ora si danno più rapidamente e ai dipendenti più giovani sono date sempre pi più responsabilità e sempre prima.
TCS ha ance avviato Knome, un social network aziendale inspirato a Facebook e Twitter proprio perché richiesto dai loro dipendenti. Questo ha facilitato la collaborazione in tutte le attività, dalla progettazione di preziosi nuovi software ad un maggiore partecipazione alla comunità aziendale. “E’ inutile che i baby boomers e la generazione X voglia che la generazione Y si comporti come loro. Siamo noi che dobbiamo comportarci come loro” afferma Mr Mukherjee.
In un’ottica più ottimista c’è chi crede che alcuni dei fattori che in apparenza caratterizzavano fortemente la generazione Y sono, in realtà, sovradimensionati, come afferma Rich Floresch, capo delle risorse umane a McDonald. Infatti, i millennials, sono “infastiditi dla mito di essere i prescelti, o dallo stereotipo che li dipinge con scarse qualità comunicative o con la necessità di cambiare continuamente lavoro. Se trovano un’azienda che offre un lavoro stimolante, un obiettivo ben preciso e possibilità di sviluppo, allora sono contenti di rimanere.”
Se una ragazza millennials usa lo smartphone durante una riunione, bisogna pensare che potrebbe star facendo del multitasking invece che considerala disattenta e maleducata, afferma Dan Schawbel, autore di un libro sulla generazione Y sul luogo di lavoro. La ragazza potrebbe risentirsi con i colleghi più anziani, ma in generale li rispetta e vuole imparare da loro. Questo spiega il costante bisogno di feedback dei millennials, afferma Mr Schawbel. I baby boomers e la generazione X, se ci provassero, potrebbero trovare gusto nel diventare i tutors dei millennials
Goolge è spesso descritta come la rappresentazione dell’azienda con pratiche di lavoro “amiche” dei millennials. Ma Laszlo Bock, uno dei responsabili delle risorse umane, fa notare che hanno anche un dipendente di 83 anni. E l’unica cosa che rende diversa la generazione Y dalle altre è che pone esplicitamente tutte le richieste che in realtà anche le altre vorrebbero fare.
Forse… ma quante società saranno così disponibili e abili come Google nel coccolare il proprio personale e conservare tutte le frizioni generazionali più o meno felicemente?