Sono nati tra il 1980 e il 1999. Sono i primi nati nell’era digitale a diventare adulti. Li chiamano “generazione Y” o “millenials”, e sono la generazione più numerosa dopo quella dei baby boomers, i loro genitori.
Hanno un alto livello di istruzione, conoscono bene e amano la tecnologia perché convivono con l’elettronica da sempre. Giocano al computer, scaricano musica, comunicano in tempo reale, vivono su internet e con il telefonino in mano, vivono con i social network.
Ma sono anche una generazione di persone spesso sotto-occupate e insoddisfatte.
Ciononostante molti rispondono alle sfide in atto diventando imprenditori e spesso con successo. Secondo la ricerca “Vita da millennials. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova”, realizzata dal Censis per il Padiglione Italia di Expo 2015, circa 32 mila nuove imprese nate nel secondo trimestre del 2015 (un terzo del totale) sono state fondate da un under 35. In altre parole, in Italia nascono più di 300 imprese al giorno guidate da giovani, e oggi 594 imprese, il 9,8% del tessuto imprenditoriale italiano, sono in mano a giovani. I millenials italiani, insomma, hanno risposto con l’imprenditorialità alle difficoltà della vita attuale.
Perché, per chi sceglie il lavoro dipendente, spesso le prospettive non sono rosee. Sono 2,3 milioni i millennials (fra i 18 e i 34 anni, nell’indagine del Censis) che svolgono un lavoro di livello più basso rispetto alla propria qualifica. Inoltre 1,2 milioni dichiarano di aver lavorato in nero negli ultimi 12 mesi, 1,8 milioni hanno svolto lavoretti pur di guadagnare qualcosa, 1,7 milioni nell’ultimo anno hanno lavorato con contratti di durata inferiore a un mese, e 4,4 milioni hanno fatto stage non retribuiti.
Tutto questo non ha soltanto un effetto immediato, nelle scelte di vita dei giovani (che escono tardi dalla famiglia di origine, faticano a formarsene una propria e rinunciano ad avere figli). A lungo termine gli effetti si faranno sentire anche sulle pensioni.
Sempre il Censis stima che il 65% dei giovani tra i 25 e i 34 anni che oggi lavorano come dipendenti, avranno una pensione inferiore a mille euro, anche se avranno una carriera assimilabile a quella delle generazioni che li hanno preceduti. E questo vale per i più “fortunati”, cioè per i 3,4 milioni di giovani oggi inseriti con contratti “standard” nel mondo del lavoro.
D’altra parte i millenials non si fanno illusioni. Più della metà (il 53%), è convinto che la sua pensione non supererà il 50% del reddito da lavoro.
Questa percezione, finora, non si è trasformata però in azioni concrete. Come dimostra il fatto che (secondo i dati della Covip, l’authority del settore previdenziale) soltanto il solo il 16% delle forze di lavoro con meno di 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
È un vuoto che va sicuramente colmato. Anche perché i fondi pensione e le altre forme di previdenza integrativa possono dare al meglio i loro frutti se i piani di risparmio vengono avviati per tempo: tanto più gli aderenti sono giovani, maggiore sarà il numero di anni in cui potranno accumulare e far fruttare i loro versamenti.