I 5 falsi miti della previdenza: “Mi basta la pensione pubblica…”
Previdenza

I 5 falsi miti della previdenza: “Mi basta la pensione pubblica…”

Quando si parla di previdenza, in Italia, spesso vengono alla luce pregiudizi, miti e credenze. Abbiamo deciso di prendere i 5 falsi miti più in voga tra gli italiani e di sfatarli uno ad uno. Utilizzando ricerche, sondaggi, proiezioni e statistiche cercheremo di fare chiarezza in un settore di cui si parla tanto ma che si conosce poco.

Quando si parla di previdenza, in Italia, spesso vengono alla luce pregiudizi, miti e credenze. Abbiamo deciso di prendere i 5 falsi miti più in voga tra gli italiani e di sfatarli uno ad uno. Utilizzando ricerche, sondaggi, proiezioni e statistiche cercheremo di fare chiarezza in un settore di cui si parla tanto ma che si conosce poco.

Il mito che andremo a sfatare oggi è quello di chi crede che il primo pilastro sia sufficiente per affrontare serenamente il periodo di pensionamento. Nei prossimi post sfateremo restanti quattro miti.

“Mi basta la pensione pubblica…”

E’ forse il mito più facile da sfatare, soprattutto perché sempre meno Italiani ci credono. La recente riforma delle pensioni è stata per molti mesi al centro del dibattito pubblico e il futuro della previdenza pubblica è tutt’oggi un argomento trattato quotidianamente su tv, giornali e web.

Con l’entrata in vigore desistema contributivo, lo stato pagherà la sola pensione frutto dei contributi versati, senza più integrazioni. Mentre attualmente a beneficiare dell’aggiunta pubblica sono quasi 7 milioni di prestazioni, pari al 30% del totale di quelle erogate.

Gli italiani sono coscienti di questo cambiamento: secondo una recente indagine Censis/Covip sulla percezione previdenziale da parte del risparmiatore italiano, emerge come la pensione attesa nell’immaginario collettivo rappresenti appena il 55% dell’ultima retribuzione. Queste sensazioni sono confermate dai dati.

A parità di stipendio, un pensionato nel 2007 percepisce il 68,5 della sua ultima retribuzione mentre un pensionato nel 2050 percepirà il 50%[1].

Uno sguardo alle simulazioni della busta arancione permette di scoprire come, per esempio, al dipendente ventitreenne assunto nel 1996, che si ritirerà nel 2037 con 65 anni d’età e 39 circa di contributi, spetterà una somma pari a circa il 65% dell’ultimo decennio di stipendio; peggio andrà all’autonomo, per il quale la percentuale scenderà fino al 50%.[2]

Un commerciante di 38 anni che lavora da 10 anni andrà in pensione a 69 anni con una percentuale dell’ultimo stipendio pari al 47%  mentre per un giovane neoassunto la percentuale sale al 60%.[3]

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Ma anche per quanto riguarda le pensioni già erogate oggi la situazione non è migliore.

Secondo il bilancio sociale 2011 dell’INPS, oltre metà dei pensionati riceve un assegno inferiore a 1000 euro al mese. All’interno del bilancio si segnala inoltre che il reddito pensionistico[4] medio lordo mensile nel 2011 erogato dall’Inps e dagli enti previdenziali è stato di 1.131 euro (1.366 euro per gli uomini, 930 per le donne).

I dati parlano chiaro e sfatano il mito che la pensione pubblica sia sufficiente. E’ sicuramente una buona base di partenza ma rischia di non essere adeguata se si vuole mantenere un tenore di vita in linea con gli ultimi redditi percepiti.

Le soluzione per evitare che ciò accada è una corretta pianificazione previdenziale, in modo da non trovarsi impreparati in un passaggio fondamentale della vita di ognuno di noi.

Fonti

[1] Commissione Europea “2009 Aging Report”

[2] GNP, www.giornatanazionaledellaprevidenza.it

[3] MEFOP

[4] Il reddito medio pensionistico è formato dalla meda del totale delle pensioni ricevute in capo a ad un soggetto. Infatti oltre un quarto dei pensionati percepisce più di una pensione

Scritto da:Newsroom

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