L’invecchiamento generale della popolazione italiana, oltre ad avere degli ovvi risvolti nell’ambito della previdenza, si riflette anche all’inizio del percorso lavorativo, quando i giovani cercano di entrare nel mondo del lavoro.
I dati ci dicono che nel 2050 il 41% della popolazione avrà più di 60 anni, mentre tra il 2005 e il 2020 la quota degli over 45 aumenterà del 9% (dal 52% al 61%).
Il tema della diversità generazionale diventerà ben presto cruciale per il corretto funzionamento delle aziende e del mercato del lavoro più in generale.
Sibilla Di Palma, in un recente articolo su Italia Oggi, sottolinea come al generale invecchiamento della popolazione: “… va ad aggiungersi la recente riforma pensionistica che ha portato a un allungamento dell’età pensionabile, mettendo le aziende di fronte alla necessità di introdurre delle strategie ad hoc per gestire e rendere produttivi i lavoratori più senior, favorendone l’integrazione con la popolazione aziendale più giovane.” Continua leggere su Italiaoggi.it…
In Italia il tema non sembra ancora essersi imposto nell’agenda pubblica, ma con un tasso di disoccupazione[1] dei 15- 24enni pari al 36,6%, trovare una soluzione per favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro diventa sempre più prioritario.
All’estero, ad esempio, qualcosa si muove: “… Bmw in Germania ha dato vita a un team di lavoro di soli operai over 50 che dopo un periodo di tre mesi ha espresso il proprio parere su cosa andasse bene e cosa no nelle linee di montaggio delle auto. Partendo da questi suggerimenti, la casa automobilistica ha introdotto settanta modifiche al sistema di assemblaggio dei veicoli. Mentre, spostandosi negli Stati Uniti, alla Coca Cola Enterprise gli impiegati con più di 55 anni di età svolgono attività di coaching e mentoring verso i giovani neo assunti.” Continua leggere su Italiaoggi.it…
A riguardo, Roberto Ramasco, Consigliere Delegato di Fondazione Sodalitas[2] ha affermato che “Il posto di lavoro è il luogo in cui ognuno è chiamato a confrontarsi con persone diverse da sé per genere, per livello di scolarizzazione, per le abilità, per nazionalità e, non ultima, per età – ha dichiarato– Anche dalla capacità di integrare queste diversità dipendono non solo il ‘clima’ aziendale ma anche le possibilità dell’impresa di competere sul mercato”.
Ad esempio, si potrebbe ipotizzare la trasmissione progressiva di know-how ed esperienze da parte delle generazioni più anziane verso le più giovani, legando questo processo ad una retribuzione progressivamente proporzionale di entrambi.
Ciò si tradurrebbe con un impegno da parte delle aziende per mantenere in forza due lavoratori di cui:
– uno disposto ad ottenere un impiego con una retribuzione “d’ingresso” per imparare il mestiere che nel giro di pochi anni potrà essere il suo lavoro;
– l’altro disposto ad una riduzione del proprio salario per svolgere una attività di coching , meno legata alla produzione, a beneficio del giovane che gli è stato assegnato, svolgendo questo ruolo gradualmente fino al momento del pensionamento.
Insomma, sul tema della “Age Diversity” si dovranno confrontare le aziende italiane per competere al meglio nel mercato del lavoro italiano.
Cosa ne pensate?
[1] Ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca;
[2] Fondazione Sodalitas promuove il Laboratorio Working Age, a cui partecipano imprese motivate a condividere approcci efficaci per gestire le diverse età in azienda valorizzando la age diversity. Un’iniziativa pienamente integrata nell’impegno di Fondazione Sodalitas per promuovere Pari Opportunità e Diversità nei luoghi di lavoro