Spesso sulle pagine di questo blog abbiamo trattato il tema della pensione dal punto di vista delle donne (qui, qui e qui).
In Italia, rispetto al tema “donne e previdenza” possiamo evidenziare un dato interessante: nelle classi di età più giovani solo il 9% degli uomini iscritti ad un fondo pensione ha meno di 35 anni, mentre per le donne la cifra raddoppia: circa il 18%. A dimostrazione di una maggiore apertura delle ragazze italiane nei confronti del mondo assicurativo e finanziario.
La scelta lungimirante di queste giovani donne è confermata dai dati.
Le donne hanno un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini, in media vivranno 26 anni in pensione rispetto ai 21 degli uomini, ma hanno pensioni in media più basse: 13.921 euro all’anno contro i 19.686 degli uomini.
La necessità di avere un’entrata ulteriore, come la previdenza complementare, risulta evidente.
Le donne sono la maggioranza dei pensionati italiani (52,9%) ma, come abbiamo visto, ricevono prestazioni più basse rispetto agli uomini. Perchè?
I motivi che stanno dietro a questa differenza sono molti, a cominciare dai redditi da lavoro che, come noto, per le donne sono inferiori anche a parità di qualifica.
Spesso inoltre le lavoratrici hanno una carriera più discontinua e le interruzioni (dovute alla maternità e alla cura dei figli, ma non solo) pesano anche sulla pensione, perché ad esse corrispondono dei “buchi” nella contribuzione.
Proprio riguardo a quest’ultimo problema ieri l’ISTAT ha pubblicato un’interessante indagine “Avere figli in Italia negli anni 2000” che, in un contesto in cui le donne sono sempre più presenti nel mercato del lavoro, approfondisce la difficoltà di conciliazione tra famiglia e lavoro.
Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul dato riguardante le madri che lasciano il lavoro in seguito alla gravidanza. Causa sempre più incisiva di una riduzione delle future pensioni perché, ricordiamo, con l’introduzione del sistema contributivo, le nostre pensioni saranno calcolate esclusivamente sulla base dei contributi versati durante tutto l’arco della vita. Smettere di lavorare, quindi, anche solo per pochi anni, ha un impatto molto rilevante sull’importo che percepiremo una volta in pensione.
Il 14% per cento delle madri che lavoravano all’epoca della gravidanza non lavora più a distanza di circa 2 anni dalla nascita del bambino.
Questa proporzione sale al 22,4 per cento se al denominatore si considerano le donne occupate in gravidanza, invece del totale delle intervistate, ed esprime il rischio di non avere più un lavoro a circa due anni dalla nascita di un figlio. Questo indicatore nel 2012 è più alto rispetto a quello delle precedenti edizioni dell’indagine, superando di quattro punti percentuali quello del 2005 ed è in controtendenza rispetto alla diminuzione registrata tra l’edizione 2000 (20 per cento) e il 2005 (18 per cento).
Sono dati su cui occorre riflettere.