“Se scelgo di lavorare come freelance dovrò essere io a pagarmi i contributi” “ Avere un contratto a tempo indeterminato vuol dire tante cose e in particolare che hai i contributi pagati”. “Non posso andare in pensione perché non ho ancora i contributi necessari”.
Ero in metro qualche giorno fa e stavo applicando quello che definisco il mio “brutto vizio” (lo so, lo so, arriccerete il naso o farete le facce strane, ma tant’è): stavo ascoltando i discorsi degli altri. Forse non ci crederete o forse sì, ma per chi scrive di lavoro e previdenza, la metro di Milano è un posto ricco di ispirazione nonché di informazioni. Senza dovere aspettare i risultati dei sondaggi dell’Istat, quelli comunicati dal Governo o quelli dello Svimez che si occupa in particolare di Mezzogiorno, mentre percorro Milano ogni giorno, prima sulla linea gialla e poi su quella rossa, riesco a percepire cosa pensa e prova buona parte della gente che, appunto nel capoluogo meneghino, parla di lavoro. E, aggiungo, di contributi.
Le frasi sopra non sono altro che pezzi di conversazioni al cellulare sentite alle 8 del mattino o alle 8 di sera e pezzi di discorsi di colleghi o amici mentre condividono il viaggio in metropolitana. Al di là di questo pessimo vizio che potrei mettere alla voce “Cose da migliorare da qui ai prossimi 10 anni”, quello che mi ha stupito e continua a stupirmi è quanto la parola contributi sia stata, e in generale sia, protagonista nelle conversazioni di ogni giorno e quanto, oltre al volere lavorare per comprarsi una casa, fare vacanze spesso e fuori dall’Italia, dare una istruzione di livello ai propri figli, molti scelgano un tipo di professione e come portarla avanti, da dipendente o da freelance per esempio, anche in “nome dei contributi”.
D’altra parte, al giorno d’oggi, la pensione la costruiamo così: accumulando contributi in base alle ore e ai giorni di lavoro effettuati e allo stipendio percepito. Molto diverso da come era in passato quando il sistema pensionistico dava più valore ai soldi che al tempo e l’importo mensile che si riceveva una volta che ci si era ritirati dal lavoro era basato sulla media degli ultimi stipendi percepiti, più un 2% di rivalutazione in base al costo della vita.
Il sistema contributivo ha fatto la sua prima grande entrate nel 1996 con la Riforma Dini ed è stato del tutto cancellato dalla Riforma Fornero nel 2012. Ciò vuol dire che, per chi come me nel 1996 di anni di lavoro non ne aveva fatti quasi nessuno perché dovevo ancora diplomarmi (e le ripetizioni di allora non credo non siano valide per la pensione) e per chi è nato tra il 1980 e il 2000 (i cosiddetti Millennials) la pensione sarà basata solo sui contributi.
Tre cose da sapere sul sistema contributivo
Ma cosa vogliono dire nel concreto e come provare a intuire quanto si sta accumulando mentre si lavora? E in che modo? Ecco tutto quello che è necessario sapere per capire come sarà il nostro futuro contributivo:
– ogni lavoratore ha una sorta di conto corrente virtuale in cui, ogni anno, accumula una percentuale della retribuzione annua: 33% per lavoratori dipendenti; 25,72% per autonomi dotati di partita Iva; 32,72%% per chi è iscritto alla Gestione Separata e ha contratti di collaborazione continuativi o occasionali;
– questi contributi vengono rivalutati ogni anno in base a come si evolve il PIL o meglio sulla media quinquennale del nostro Prodotto Interno Lordo, viene chiamato tasso di capitalizzazione;
– quando si deciderà di ritirarsi dal lavoro, tutti i contributi versati e valutati verranno convertiti in pensione e questo grazie a dei coefficienti che terranno conto di: età del pensionato (più è alta, maggiore è la pensione, anche perché di più sono i contributi versati) e della speranza di vita che viene aggiornata ogni 3 anni.
Il futuro contributivo? Tra busta arancione e calcoli online ecco come… prevederlo
Per calcolare la pensione in maniera automatica, facendo una previsione che ovviamente tiene conto di quanto guadagnate adesso e di come svolgete la vostra attività (se come dipendente o meno), potete andare sia sul sito dell’Inps e richiedere il servizio Calcola la mia pensione o direttamente qui.
Un calcolo attendibile e che ci farà stare più sereni? Per quanto mi riguarda, sapere che a 66 anni potrei andare in pensione e percepire il 58% di quanto guadagno adesso, mi lascia più perplessità che certezze. Sarà uno “stipendio” adeguato per il mondo che verrà tra 30 anni? E non sarebbe forse meglio pensare appunto a costruirsi nel frattempo dei pezzi di certezze?