Nel 2014 i fondi pensione hanno reso, in media, oltre il 7%, contro l’1,3% del Tfr. Ma le migliori performance non sono l’unica ragione per preferire la previdenza integrativa
Quando si parla dei rendimenti dei fondi pensione e degli altri prodotti di previdenza complementare (come i Pip, piani individuali previdenziali) si sottolinea spesso che il Tfr è loro “benchmark”, il parametro con cui devono confrontarsi.
Da un punto di vista strettamente finanziario, ciò non è corretto: il benchmark infatti è, per definizione, un parametro di riferimento omogeneo. Per esempio, un fondo di investimento specializzato nel mercato azionario italiano può avere come benchmark il Ftse Mib, l’indice più significativo della Borsa milanese, mentre un fondo che investe a Wall street adotterà il Dow Jones o lo S&P500.
Confrontare i fondi pensione o i Pip (che investono in vario modo nei mercati azionari e obbligazionari) con il Tfr, che si rivaluta in base a un meccanismo fissato dalla legge, non risponde a questo criterio di omogeneità.
Ciò premesso, il confronto è molto significativo. Perché il Tfr e i fondi pensione sono le due strade, alternative, tra le quali i lavoratori si trovano a scegliere per quanto riguarda una parte importante della loro retribuzione, che gli sarà corrisposta nel futuro.
Come si rivaluta il Tfr
Il Tfr, per legge, si rivaluta a un tasso pari all’1,5% fisso, più il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo Istat, ovvero dell’inflazione. Ciò significa che, quanto più l’inflazione è bassa (se non addirittura negativa come è avvenuto di recente), tanto più basso sarà il tasso di rivalutazione del Tfr: per esempio, nel 2014 (quando l’indice Istat ha avuto per l’appunto una variazione negativa) la rivalutazione è stata dell’1,3%.
Anche se recentemente si è assistito a una lieve ripresa dell’inflazione, la fase storica che stiamo vivendo è caratterizzata da una dinamica molto lenta dei prezzi: e, almeno per un po’, il Tfr è destinato a rivalutarsi in maniera molto limitata.
I rendimenti dei fondi e dei Pip
Secondo i dati ufficiali contenuti nell’ultima relazione della Covip (l’autorità di vigilanza sulla previdenza integrativa), nel 2014 tutte le forme pensionistiche complementari hanno realizzato rendimenti superiori a quell’1,3% che ha interessato il Tfr. In particolare i fondi pensione negoziali hanno reso, in media, il 7,3%, quelli aperti il 7,5%1.
Quanto ai Pip, i prodotti di ramo I (che hanno portafogli molto conservativi, con investimenti prevalentemente obbligazionari) nel 2014 hanno reso il 2,9%. I Pip di ramo III (che sono quelli di tipo “unit linked”, legati cioè a veri e propri fondi di investimento) nel 2014 hanno reso in media il 6,8%.
Va detto che, negli anni di maggiore volatilità sui mercati finanziari (come il 2008, l’anno del fallimento della banca americana Lehman Brothers), il confronto è favorevole al Tfr. Ma questo si rivaluta sempre a un tasso molto basso, in media inferiore al 3% (vedere tabella qui sotto).
Rendimenti annui in percentuale1
Elaborazione su dati Covip
Anno | Fondi pensione negoziali | Fondi pensione aperti | Pip Ramo I | Pip Ramo III | Tfr |
2014 | 7,3 | 7,5 | 2,9 | 6,8 | 1,3 |
2013 | 5,4 | 8,1 | 3,2 | 10,9 | 1,7 |
2012 | 8,2 | 9,1 | 3,3 | 7,9 | 2,9 |
2011 | 0,1 | -2,4 | 3,2 | -5,2 | 3,5 |
2010 | 3,0 | 4,2 | 3,2 | 4,7 | 2,6 |
2009 | 8,5 | 11,3 | 3,1 | 14,5 | 2,0 |
2008 | -6,3 | -14,0 | 3,1 | -21,9 | 2,7 |
Nota: 1) Tutti i rendimenti sono al netto dell’imposta sostitutiva; i rendimenti dei fondi pensione e dei Pip sono anche al netto dei costi di gestione.
I vantaggi fiscali
Nel valutare la convenienza dell’adesione alla previdenza complementare, conviene poi tenere sempre presenti le agevolazioni fiscali legate a questi strumenti. I contributi o i premi versati a fondi e Pip sono possono infatti essere dedotti dal reddito, fino al limite di 5.164 euro all’anno. A seconda del reddito complessivo, e quindi dell’aliquota Irpef cui si è soggetti, ciò si traduce in un risparmio compreso tra i 1.187 e i 2.220 euro all’anno.
Per chi è stato assunto dopo il 1° gennaio 2007, il vantaggio è ancora più sensibile: potrà infatti, nei 20 anni successivi al quinto di occupazione, superare il limite dei 5.164 euro all’anno, per una cifra complessiva pari alla differenza tra 25.823 euro e il totale dei contributi versati nei primi cinque anni di iscrizione alla previdenza complementare. Ciò significa che, a partire dal sesto anno di iscrizione al fondo o al Pip, il limite di deducibilità sale a 7.747 euro all’anno.
Per approfondire gli aspetti fiscali legati alla previdenza integrativa vedere qui.