Aumentano le adesioni alla previdenza integrativa ma anche il numero di persone che, a causa della crisi economica, hanno sospeso i versamenti. È quanto emerge dalla Relazione annuale della Covip, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, illustrata dal presidente Francesco Massicci (1).
Lo scorso anno il sistema dei fondi pensione è cresciuto
del 5,4% rispetto al 2013 in termini di adesioni e del 12% in termini di patrimonio. Sono 6,5 milioni gli aderenti alle forme pensionistiche complementari, pari al 29,4% degli occupati.
Sono cresciuti però anche gli iscritti che non versano contributi, pari a 1,6 milioni, con una prevalenza tra le adesioni individuali rispetto alle collettive e tra i lavoratori autonomi rispetto a quelli dipendenti. “Considerando gli iscritti al netto di coloro che hanno interrotto i versamenti contributivi, il tasso di adesione rispetto agli occupati è del 22,3.
I fondi negoziali hanno 1,9 milioni di aderenti, gli aperti oltre un milione, quelli preesistenti 650mila. E’ continuata la crescita dei Pip (per tutte le categorie di lavoratori), i piani individuali di previdenza, che hanno superato i 2,4 milioni di aderenti, e quella dei fondi aperti.
La crescita degli aderenti al sistema, sottolinea la Covip, è il risultato dell’incremento delle adesioni individuali a Pip e fondi pensione aperti e ha riguardato tutte le categorie di lavoratori.
Il patrimonio delle forme pensionistiche complementari ha raggiunto 131 miliardi di euro, l’8,1% del Pil e il 3,3% delle attività finanziarie delle famiglie. Nel corso del 2014 sono stati raccolti contributi per 13 miliardi di euro, 600 milioni in più rispetto al 2013. Dei contributi versati 5,3 miliardi di euro provengono da flussi di Tfr, di cui l’82% confluisce nei fondi pensione negoziali e preesistenti.
Covip fa sapere inoltre che lo scorso anno le forme pensionistiche hanno riportato “rendimenti positivi“, beneficiando del buon andamento dei mercati finanziari, sostenuti dalle politiche monetarie espansive e dalle migliorate condizioni dell’economia globale.
I fondi negoziali e quelli aperti hanno ottenuto in media rendimenti pari rispettivamente al 7,3 e al 7,5.
Il rendimento medio annuo negli ultimi 5 anni si è attestato al 4,8% per i fondi negoziali e al 5,2 per quelli aperti. Per i Pip è stato pari al 4,9% per i prodotti di ramo III e al 3,2% per le gestioni separate di ramo I. Nello stesso periodo, il tasso di rivalutazione del Tfr è stato del 2,4%. Rispetto al 2013 i costi medi sono rimasti stabili per tutte le forme di previdenza complementare.
Dall’inizio del 2000 alla fine del 2014 (periodo caratterizzato da ripetute turbolenze dei mercati finanziari), i rendimenti cumulati dei fondi negoziali si sono attestati al 59,5% contro il 48% del Tfr. Nello stesso periodo temporale i fondi aperti, caratterizzati in media da una maggiore esposizione azionaria, hanno guadagnato il 30,7%; più elevati, intorno al 60%, i rendimenti ottenuti dalle linee obbligazionarie dei fondi aperti.
Secondo il presidente Massicci, questi risultati stanno a dimostrare le capacità di tenuta del sistema dei fondi pensione grazie alle regole di settore, all’avversione al rischio degli operatori e agli interventi dell’autorità di vigilanza.
I fondi pensione e gli enti di previdenza privati – ha commentato Francesco Massicci, presidente della Covip – devono essere all’altezza della crescente rilevanza sociale che la loro attività sta assumendo. Il welfare integrativo rappresenta una fondamentale leva di governo per lo sviluppo di un più evoluto sistema di garanzie sociali e può offrire una risposta ai mutati bisogni della nostra società. Il momento attuale richiede un deciso salto di paradigma da parte dei fondi: nei processi organizzativi interni; nella capacità di gestire i rischi e di fronteggiare la concorrenza; nell’orientare le politiche di investimento verso un’allocazione più adeguata all’evoluzione del mercato; nella ricerca di dimensioni adeguate, che siano funzionali agli interessi degli iscritti” (2).
Non mancano gli aspetti negativi di questo particolare momento storico (3) – Nel 1992, quando fu fatta la riforma dei fondi pensione, l’obiettivo era di favorire lo sviluppo della previdenza integrativa in Italia con due scopi: compensare, in prospettiva, la riduzione della pensione obbligatoria; convogliare i contributi che sarebbero stati raccolti presso aziende e lavoratori nell’economia reale. I risultati purtroppo sono stati diversi. Per certi versi paradossali.
I lavoratori più deboli, cioè col reddito più basso e incerto, che maggiormente avrebbero bisogno di farsi una pensione di scorta da sommare a quella pubblica, sono quelli che meno hanno la possibilità di aderire ai fondi, che invece possono contare più facilmente sulle iscrizioni dei lavoratori con redditi maggiori e stabili, i quali avranno minore necessità di integrare la pensione obbligatoria (3).
Fonti:
(1) (Huffington Post | Di Carlo Renda – 11/06/2015)
(2) (FIRST online – 11/06/2015)
(3) (Corriere della Sera – 12/06/2015) – Fondi pensione più «poveri». E il Fisco non aiuta