Definizione semplice
Si vive più a lungo e per questo si va in pensione più tardi. L’assunto è ormai entrato nell’opinione corrente. La demografia ci dice oggi la vita media degli italiani è di 84 anni per le donne e 79 per gli uomini; ma visto che ogni cinque anni l’aspettativa di vita sale di un altro anno, nel giro di pochi decenni la nostra società subirà una trasformazione rilevante, e gli anziani non potranno contare più come in passato sulle generazioni più giovani. Certo, non è semplice adattarsi a questa realtà, soprattutto dopo che il legislatore ha per decenni incentivato il pensionamento o l’assegnazione di rendite dopo periodi ridotti di contribuzione. Dopo molti errori analoghi, l’Italia è passata alle contromisure.
Il sistema previdenziale italiano, all’indomani dell’ultima riforma messa in campo dal governo Monti alla fine del 2011, presenta elementi di stabilità e di efficienza rilevanti. Le nuove sfide che i lavoratori si trovano di fronte comportano informazioni e competenze superiori alle precedenti: è necessario programmare il proprio percorso fino al pensionamento sin da giovani, pur nella consapevolezza del fatto che il mercato del lavoro può proporre una minor linearità rispetto al passato e quindi buchi contributivi potenziali. Per questo il pensionamento è un processo che inizia all’ingresso nel mondo del lavoro, con la consapevolezza di mettere in campo scelte di lungo termine. Scelte che permettano di vivere una parte la più lunga possibile dell’età anziana in salute e svolgendo quelle attività tante volte rinviate durante l’attività lavorativa. Rinviare la decisione di aderire a uno strumento previdenziale, per esempio, ha un costo rilevante: un trentenne che decida di aspettare due anni prima di iniziare a risparmiare mille euro l’anno in uno fondo pensione, si troverebbe una rendita che si stima inferiore di circa il 10%. Procrastinare ulteriormente una decisione comporta costi ancor maggiori, riducendo in modo consistente la nostra disponibilità economica e quindi il nostro stile di vita, in una fase dell’esistenza che inevitabilmente comporterà la necessità di supporto e assistenza. Per questo può risultare utile coprire i rischi dell’età avanzata grazie a contratti specifici che singolarmente o sotto forma di contratti collettivi e negoziali, consentano di mettere a disposizione supporti in caso di non autosufficienza.
Descrizione tecnica
La riforma Monti-Fornero ha reso più complesso e articolato la definizione del momento in cui si va in pensione. Quel che è certo è che l’età del pensionamento tende ad innalzarsi, con alcune specificità.
I lavoratori maschi, dipendenti e autonomi a partire dal 1° gennaio 2012, vanno in pensione a 66 anni; volendo potranno scegliere di restare al lavoro fino a 70 anni, sfruttando al momento del pensionamento i coefficienti di trasformazione (basati sulle aspettative di vita) dei 66 anni, ossia del primo momento in cui è maturato il diritto alla pensione. Anche per le donne, le lavoratrici del settore pubblico, dal primo gennaio scorso il pensionamento scatta ai 66 anni di età; dal 2018 questo requisito sarà esteso anche alle lavoratrici autonome del settore privato, con un passaggio intermedio, nel 2016, a 65 anni per le dipendenti e a 65 e sei mesi per le autonome. Tutte potranno restare al lavoro, se lo volessero, a 70 anni.
La riforma di Natale ha in sostanza eliminato la pensione di anzianità, maturata sulla base degli anni di lavoro accumulati; ciononostante i lavoratori potranno andare in pensione dopo 42 anni e un mese, con penalizzazioni per chi sceglie di ritirarsi prima del 62 anni di età. È la cosiddetta “pensione anticipata” che sostituisce di fatto quella di vecchiaia; le donne possono ottenere la pensione anticipata un anno prima del colleghi uomini, a 41 anni e un mese di contributi. Anche in questo caso sono previste penalizzazione per chi lascia il lavoro prima dei 62 anni. D’altra parte la riforma permette alcune forme di uscita anticipata: in particolare nel caso la prestazione calcolata sia pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale, incrementato in base alla crescita del Pil nazionale.
In definitiva la riforma Monti-Fornero punta a far lavorare gli italiani più a lungo e ad andare in pensione più tardi; pur garantendo nella fase transitoria una gradualità dell’effetto.