Il mondo è sull’orlo di un impressionante aumento del numero di persone anziane e tutti noi vivremo più a lungo che mai. Nei prossimi 20 anni la popolazione globale con più di 65 anni raddoppierà, da 600 milioni ad 1.1 miliardo.
L’esperienza maturata nel ventesimo secolo, dove una maggiore longevità si traduceva automaticamente in maggiori anni passati in pensione, sta convincendo molti esperti che questo profondo cambiamento demografico ci consegnerà un’economia più lenta, condannata ad una “stagnazione secolare”. Allo stesso tempo, l’aumento dei pensionati, e quindi la riduzione in proporzione dei lavoratori attivi, metterà in crisi i conti pubblici già non particolarmente floridi oggi.
Ma questo principio di una netta divisione tra “lavoratori giovani attivi” e “anziani inattivi” non coglie una nuova tendenza in atto: la differenza tra lavoratori qualificati e non qualificati.
Il nuovo trend
Nei paesi sviluppati, le persone meglio istruite lavorano sempre più a lungo rispetto ai meno qualificati. Circa il 65% de lavoratori americani di età compresa tra 62 e 74 anni in possesso di una qualifica professionale è ancora nel mondo del lavoro, mentre solo il 32% di chi ha un diploma scolastico di base. Nell’Unione Europea la tendenza è similare.
I tassi di occupazione stanno crollando tra i giovani non qualificati e allo stesso tempo gli anziani qualificati lavorano sempre più a lungo. La separazione è massima in America dove i meglio istruiti baby-boomers rimandano il pensionamento mentre i giovani meno qualificati vengono estromessi dal mondo del lavoro.
Il cambiamento tecnologico, inoltre, potrebbe addirittura rinforzare questa tendenza: le qualità richieste davanti ad un computer, come le capacità gestionali e la creatività, non necessariamente diminuiscono con l’età.
Di questo trend non beneficeranno soltanto gli anziani ma anche, in qualche modo, la società nel suo insieme. La crescita rallenterà meno drammaticamente di come ci si aspetta e i conti pubblici si sosterranno meglio dato che i lavoratori anziani, spesso con alti redditi, continueranno a contribuire pagando le tasse più a lungo.
L’età non dovrebbe più determinare qual è il momento appropriato dell’uscita dal mondo del lavoro. Età di pensionamento obbligatorie e regole pensionistiche che scoraggiano la permanenza in attività dovrebbero essere evitate. Il welfare dovrebbe riflettere le maggiori opportunità che si aprono per i lavoratori meglio qualificati e le pensioni dovrebbero essere sempre più progressive (ad esempio meno generose con i ricchi).
L’istruzione è la soluzione
I paesi più ricchi del mondo, che hanno molti anziani ben istruiti, riusciranno a sostenere l’invecchiamento della popolazione più facilmente rispetto a paesi come la Cina, dove la metà dei 50-64enni non ha completato la scuola primaria.
Il nuovo trend sottolinea l’importanza di aumentare gli investimenti pubblici in percorsi formativi vita natural durante, in modo che più persone acquisiscano le competenze necessarie a competere nel moderno mercato del lavoro.
Oggi molti governi sono restii a investire nell’istruzione della popolazione più anziana che rischia di andare in pensione molto presto. Ma se le persone più istruite possono lavorare più a lungo, questo tipo di investimento diventa molto più sensato.
I sessantenni inattivi è improbabile che diventino scienziati informatici, ma potrebbero imparare utili competenze per, ad esempio, gestire e prendersi cura del crescente numero di persone molto anziane.
Traduzione adattata di A billion shades of grey, The Economist, 26 Aprile 2014
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