La popolazione mondiale invecchia. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il numero degli ultra sessantenni raddoppierà entro il 2050, passando da 900 milioni a quasi 2 miliardi. E già oggi sono 125 milioni gli individui che hanno superato gli 80 anni.
L’Italia non fa eccezione, anzi: il nostro paese è secondo solo al Giappone per anzianità della popolazione: il 21,4% dei cittadini è over 65 e il 6,4% è over 80.
In sé si tratta ovviamente di una bella notizia, anche se, come ricordiamo spesso nel nostro blog, pone più di una sfida per quanto riguarda il benessere nell’età anziana, in particolare dal punto di vista previdenziale. L’aumento del numero dei pensionati, e la maggiore longevità ormai da anni hanno messo in difficoltà il sistema pensionistico, imponendo riforme che si sono tradotte, in estrema sintesi, in un aumento dei requisiti per il pensionamento e in una riduzione degli importi delle rendite.
Una popolazione più anziana, inoltre, è più esposta alla necessità di cure sanitarie e di assistenza alla persona. E questo dato si scontra con una realtà di tagli, più o meno espliciti, al sistema sanitario pubblico. Un trend che costringe sempre più i cittadini a pagare di tasca propria cure, analisi, visite mediche.
Secondo un recente studio del Censis1, il 73% delle famiglie italiane ha fatto ricorso almeno due volte negli ultimi due anni a visite specialistiche o a esami diagnostici a pagamento (in intramoenia o presso studi privati). Il motivo è, nel 75% dei casi, nelle liste d’attesa eccessivamente lunghe. Peraltro il 72% delle famiglie dichiara che avrebbe difficoltà, oggi, ad affrontare spese mediche particolarmente costose.
Tutti questi fattori insieme spingono verso una riflessione complessiva del sistema del welfare italiano (e non solo), verso un ripensamento del modello al quale siamo abituati. E il nuovo modello al quale sempre più spesso si fa riferimento è quello del cosiddetto “welfare integrato”.
Il welfare integrato (che è stato anche oggetto di una organica proposta da parte di Assoprevidenza2, l’associazione che riunisce i fondi pensione italiani), prevede la collaborazione di diversi protagonisti: i fondi pensione e le casse di assistenza, ma anche le aziende, i lavoratori e le istituzioni pubbliche.
Il cambiamento passa attraverso lo sforzo di tutte le parti Istituzionali: Fondi Sanitari, Casse di assistenza, Compagnie di assicurazioni etc…in primo luogo attraverso la creazione di veri e propri fondi sanitari integrativi con la possibilità per i lavoratori di aderire su base collettiva, sfruttando così a loro vantaggio un indubbio potere contrattuale. E dovrebbe essere prevista una contribuzione “mista”, a carico sia del lavoratore sia dell’azienda, che offrirebbe in tal modo un “fringe benefit” ai propri dipendenti.”
Ma tutte le esigenze di welfare dei lavoratori prima e dei pensionati poi dovrebbero essere integrati in un sistema di tipo “life cycle”, in cui a ogni fase della vita corrispondono specifiche esigenze, e risposte.
La realizzazione di un modello del genere richiede un importante intervento a livello legislativo, non soltanto per regolamentare la materia, ma anche per introdurre una normativa tributaria ad hoc, dato che un incentivo fiscale può rappresentare una spinta decisiva per il decollo dei nuovi strumenti.
Ma l’obiettivo è non soltanto importante, ma sempre più urgente. E il messaggio è stato ormai lanciato.
Note:
1 Rapporto Censis Unipol 2014 – Il laboratorio Welfare