Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito al susseguirsi di riforme nel settore della previdenza pubblica. Con questo post vogliamo portare un po’ di chiarezza su quali sono le ragioni che hanno spinto i recenti governi a riformare il sistema pensionistico italiano, innalzando l’età di pensionamento ed introducendo, in ultimo, il sistema contributivo.
Recentemente l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha reso noto il rapporto “Society at Glance 2014”. E’ la sesta edizione della ricerca biennale che analizza lo stato delle società dei 34 paesi OCSE, tra cui c’è anche l’Italia.
Tra i vari aspetti affrontati nello studio, abbiamo focalizzato l’attenzione su tre indici:
a) l’aspettativa di anni in pensione;
b) l’aspettativa di vita alla nascita;
c) la sostenibilità demografica;
Sono dati che parlano da soli e spiegano in modo evidente come il tema della sostenibilità dei sistemi pensionistici pubblici sia urgente e rilevante per moltissimi paesi.
a) 26 anni di pensione per le donne, gli uomini 5 anni in meno
L’ aspettativa di anni in pensione indica in media quanti anni di vita si trascorreranno in pensione, in base all’età media di pensionamento e all’aspettativa di vita in quel momento. Il dato ci mostra non solo come il sistema pensionistico interagisce con l’uscita dal mercato del lavoro, ma anche la pressione finanziaria che devono sostenere i sistemi pensionistici in un contesto di invecchiamento della popolazione. Gli uomini, in generale, staranno in pensione alcuni anni in meno. In Italia le donne circa 26 anni e gli uomini 21, circa 5 anni in meno.

b) Superata la soglia degli 80 anni di vita in media
Per la prima volta nella storia, nel 2011, l’aspettativa di vita alla nascita in media tra i paesi OCSE ha superato gli 80 anni, un aumento di 10 anni rispetto al 1970. Italia, Giappone e Svizzera guidano un vasto gruppo di oltre 2/3 dei paesi OCSE nei quali l’aspettativa di vita alla nascita supera gli 80 anni.
c) Nel 2050 quasi la metà della popolazione sarà inattiva
L’indice di sostenibilità demografica stabilisce il rapporto tra la popolazione economicamente attiva rispetto alla popolazione anziana, tendenzialmente economicamente inattiva. In tal modo indica il numero delle persone attive che, potenzialmente, stanno sostenendo le persone inattive. Inoltre offre un’indicazione generale sulla strutturazione delle età di una popolazione. I cambiamenti di questo indice dipendono dalla mortalità (passata e presente), dalla fertilità e, in modo minore, dal rapporto tra immigrazione ed emigrazione.
In media, in tutti i paesi OCSE al 2012, ci sono circa 4 persone in età lavorativa per ogni persona anziana. L’indice del Messico ( 9 persone) e della Turchia (8 persone) superano di molto questa media. Dall’altro lato, Germania, Italia e Giappone, hanno meno
di 3 individui in età lavorativa per ogni persona anziana.
L’indice di sostenibilità è previsto che declini in tutti i paesi Ocse nei prossimi 40 anni e in Italia arriveremo ad avere solo 1,5 individui economicamente attivi per ogni persona anziana economicamente inattiva.

Lo scenario delineato è sicuramente una sfida aperta per i paesi OCSE che dovranno riuscire a coniugare la sostenibilità dei sistemi di welfare pubblico con l’equità generazionale.
L’immagine usata per l’anteprima di questo post è di Christian Schnettelker www.manoftaste.de